venerdì 6 maggio 2011

Il Castello di Montebello

Se durante una scampagnata vi capita di imbattervi in un cartello stradale che indica la cittadina di Torriana, svoltate in quella direzione, proseguite lungo la statale per qualche minuto, e all’improvviso vi ritroverete davanti il suggestivo ed affascinante Castello di Montebello. Verrete catapultati (con tutta la vostra auto, chiaro) indietro nel tempo, dove antiche battaglie, magie misteriose, e storie di fantasmi vi faranno correre come bambini a gridare di volere la mamma.

Il castello di Montebello, allo stato attuale, mantiene con straordinaria efficienza la sua struttura medioevale originaria. Dietro la sua sagoma, le colline pianeggianti di un verde intenso, finiscono per morire nel mare, mentre dall’altro lato, guardando l’orizzonte, si possono notare gli Appennini. Già nell’anno Mille, le torri della fortezza erano pronte per sfidare chiunque avesse la malsana idea di conquistare il territorio romagnolo. Furono i Malatesta i primi veri padroni del castello, acquistandolo nel 1186 e provvedendo a fortificarlo in maniera adeguata per evitare spiacevoli sorprese da parte dei Montefeltro, in continua lotta con la famiglia Malatesta, nonché, dopo l’acquisto del castello, maledettamente troppo vicini tra di loro. Nel 1393, per ragioni a noi poco chiare (e in confidenza, anche ai Malatesta) i Montefeltro riuscirono a conquistare l’inattaccabile fortezza. Solo nel 1438, Sigismondo Malatesta, con un infallibile piano militare ed un’efficace strategia, riuscì a ricondurlo sotto il comando della famiglia, che in quel periodo viveva l’apice del proprio dominio. I perenni dissapori con i Montefeltro, aggiunto all’inimicizia che in quel periodo la famiglia Malatesta aveva con il papa Pio II Piccolomini, segnò però il declino dei Malatesta. Solo nel 1463, il castello passò alla famiglia dei conti Guidi di Bagno, che ancora tutt’oggi ne posseggono la proprietà.
Il Castello di Montebello fu uno degli edifici storici più importanti di tutti i possedimenti della famiglia dei Malatesta, ed ancora oggi si possono leggere, in vecchi archivi, tutti gli interventi per le opere di costruzione, le battaglie militari e le specifiche ornamentali che fecero risultare il castello anche una dimora nobiliare della famiglia Malatesta. Malgrado sorga sopra un gigantesco masso, le mura del castello sono perfettamente integre: basta poggiare una mano sopra di esse per rivivere ad occhi aperti momenti di disgrazie, di vittorie e di morte. Il castello però conserva anche storie di tesori e segreti inconfessabili: al suo interno, si trovano mobili di grandissimo valore, passaggi sotterranei misteriosi, pozzi di una profondità spaventosa e l’affascinante mistero di Azzurrina, una bambina di otto anni inghiottita senza una ragione logica dal castello stesso.
Per entrare nella fortezza, bisogna percorrere una rampa fatta unicamente di pietra e che conduce al Girone, ossia al secondo giro di mura, dove sorge il castello. Già in precedenza però, avevamo notato la “Porta d’ingresso”, che un tempo era l’entrata principale del Castello, preceduta da un profondo fossato, che ora però introduce al borgo di Montebello, anche lui rimasto intatto e in stile medioevale come il maniero stesso. La parte originaria del castello era la costruzione che, come abbiamo descritto in precedenza, sorge su di un grande masso di roccia, ma le costruzioni intorno al maniero furono erette in un secondo momento, e più precisamente tra il XI e il XVI, dando così al castello un’aria da palazzo gentilizio.
La torre civica, di origine medievale, padroneggia sull’antico borgo di Montebello, e fu orientata in modo che la campana posta al suo interno fosse udita anche a molti chilometri di distanza. I sentieri attorno alle mura erano un tempo le uniche vie di accesso al castello, comparsi a causa dei continui andirivieni degli abitanti di Montebello.
Il primo edificio che incontriamo è l’Armeria dell’Albana: un’antica pieve romanica che durante gli anni ha assunto svariate funzioni; in principio era l’officina di fabbri e di ferrai, poi si trasformò in un deposito di artiglieria, ed infine, fu trasformata ai giorni nostri, in un’elegante enoteca.
Il secondo edificio in cui ci imbattiamo era consolidato dalla presenza della corte del castello, ed è facilmente distinguibile in due parti: una più vecchia, che ha mantenuto intatte le forme difensive originali, mentre la seconda parte evidenzia come, la funzione residenziale ebbe l’esigenza di rimodernare l’area per renderla più comoda ed abitabile. Proseguendo nella visita, ci imbattiamo nell’ala rinascimentale, costruita sempre dai Malatesta e che custodisce gelosamente pregiati pezzi di arredamento, come quadri d’autore, specchi con ornamenti d’oro, gioielli d’arte italiana, mensole e mobili di lusso.
La luce si fa sempre più fioca non appena arriviamo all’ingresso della Galleria di Azzurrina. Qui, la figlia del feudatario Ugolinuccio Malatesta, Guendalina, chiamata anche con il nome di Azzurrina (più avanti narreremo la sua inquietante vicenda), scomparse misteriosamente mentre inseguiva la sua palla formata da pezze e stracci. Un vento gelido ci percorre il viso. Lei sa che siamo qui per lei.

IL MISTERO DI AZZURRINA

La piccola Guendalina, aveva una caratteristica che la distingueva dagli altri suoi coetanei: il fatto di essere albina era una particolare e rara anomalia considerata da tutti segno di stregoneria e quindi opera del demonio. La madre, mortificata per tutto ciò, rimediò al “difetto” tingendole i capelli di nero. Il risultato non durò poi così a lungo, e una volta che la tinta svanì, lasciò fra i capelli di Guendalina un riflesso azzurro. Da quel momento, le fu affibbiato il soprannome di Azzurrina.
Azzurrina fu vista l’ultima volta dal suo accompagnatore all’interno delle mura del castello mentre giocava con la sua palla, poiché fuori vi era un fortissimo temporale. La sua palla, d’improvviso, finì all’interno di un cunicolo che si trovava alla fine delle scale che portavano ai sotterranei. Nel tentativo di recuperarla, non fece più ritorno. I resti della bambina non furono mai ritrovati, ed era pressoché impossibile che fosse uscita all’esterno del castello da quel cunicolo. Il temporale cessò nel momento in cui ci si rese conto che Azzurrina era misteriosamente scomparsa.
Da quel giorno in poi, sino ai nostri tempi, risate di bambina, grida di bimbi che giocano, dodici rintocchi di campana, il battere veloce di un piccolo cuoricino affaticato vengono più volte uditi e registrati negli anni che finiscono con lo zero o il cinque nel giorno del solstizio.  Il 21 giugno 2010, occultisti, studiosi del paranormale e tecnici delle maggiori tv si sono riuniti per registrare ancora una volta questi fenomeni così strani che puntualmente si ripetono ad ogni appuntamento.
Lasciamo il castello con la tristezza nel cuore, pensando a quella bimba che non ha fatto in tempo a diventare donna, e forse, anche egoisticamente, pensiamo che sia anche meglio così. Crescendo, forse avrebbe sofferto le continue ingiurie che già dalla più tenera età, a causa del suo albinismo, la gente scagliava contro di lei.
Percorriamo l’oasi naturalistica come ultima meta del nostro viaggio, che si estende su 1300 ettari, formata da un giardino botanico, una foresta vera e propria, uno stagno ed un’abbondante presenza di animali. Presente anche una discreta vegetazione, ed io, insieme alla mia compagna Claudia, rimaniamo incantati dal profumo e dai colori delle orchidee.
Sento cadere sui miei piedi un oggetto, un qualcosa di sferico, nascosto da un fazzoletto scuro, e il cuore mi sobbalza: che Azzurrina si trovasse qui da qualche parte della foresta e stia cercando qualcuno che la aiuti?
Torno alla realtà quando Claudia, vedendomi impietrito, mi sussurra “Scusa, mi è caduto. Non ti avrà mica spaventato il mio panino salame e crauti, vero?”


sabato 9 aprile 2011

Il castello della Roccia

Si trova a due passi dal cielo. Due alte rocce lo contornano. Una stretta valle nasce ai suoi piedi. E’ un castello senza torri, senza mura merlate né ponti levatoi. Non ci sono storie di principesse tristi, di baldi cavalieri e tesori nascosti. Non ci sono fantasmi che sbattono le loro catene. Qui narrano storie di uccisioni, di soprusi, di violenze, di torture. In questo emozionante angolo di cielo, non si ascoltano odi angeliche, ma solo urla agghiaccianti e demoniache. Qui non regnava nessun re o regina: qui regnava, e regna tuttora, solo la paura.
Il Castello della Pietra si trova nel comune ligure di Vobbia, ed è situato in una stravagante posizione tra due speroni di conglomerato che ne fanno i suoi naturali bastioni. Denominato come il principale monumento del territorio genovese, il castello della pietra compare nell’elenco dei monumenti nazionali Italiani.
Per arrivarci (come le foto dimostrano esplicitamente) bisogna avere buoni polmoni e tanto coraggio: potete addentrarvi e camminare rigorosamente a piedi presso un sentiero affascinante e misterioso nel bosco, dove vi sentirete oppressi da un’angoscia quasi surreale, oppure se preferite (e dubito che lo farete!) potete raggiungere il maniero attraversando lo spaventoso e antico Ponte di Zan. No, non è pericolante, né tantomeno gli mancano delle assi o delle pietre lungo la sua struttura: è solo stato costruito dal Diavolo (come la leggenda diffonde tra le voci della popolazione), ma di questo ne parleremo più avanti, se avrete il coraggio di ascoltare questa storia.
Secondo documenti non tanto recenti, il Castello fu costruito intorno all’anno 1000 dai Vescovi di Tortona, a difesa della Via del Sale, e nel 1050 fu ceduto ai Marchesi di Govi. Non si ha nessuna notizia del Castello fino al XIII secolo, quando un certo Opizzone della Pietra ne divenne proprietario. Nel 1518 passò sotto la guida della famiglia Spinola, per poi passare solo nel 1882 alla famiglia Botta Adorno e in seguito ai Cusani, prima di essere bruciato dalle truppe Napoleoniche. Il Castello così rimase abbandonato fino al 1919, quando la famiglia Beroldo ne prese possesso e lo riportò a uno stato sicuramente più “abitabile”, per poi donarlo nel 1979 al Comune di Vobbia. Negli anni immediatamente successivi, il Comune lo fece restaurare in maniera massiccia, e ora il Castello della Pietra è visitabile da tutti.
I misteri che si porta dietro questo luogo affascinante e misterioso sono però molto vasti: perché si dice che il Ponte di Zan fu costruito dal diavolo? E perché a volte nella notte dalla valle ai piedi del castello si sentono lamenti incessanti? Chi scoraggia a volte turisti non autorizzati a non procedere nel cammino verso il Castello?

Il Ponte di Zan attraversa il Rio Busti poco prima che le sue acque si gettino nel Vobbia circa un chilometro prima del Castello della Pietra. Nei secoli scorsi quando la valle era attraversata da persone che si muovevano a piedi o a dorso di mulo, il vecchio Ponte di Zan era necessario per continuare il proprio itinerario e raggiungere la bassa o l'alta valle, soprattutto quando il greto del Vobbia era impercorribile a causa della piena del torrente. La datazione del ponte non è certa, né vi sono documentazioni utili per risalire alla sua costruzione: in tal senso il nome "Zan", se risale alle origini medioevali, può aiutare in questo senso. Poiché Zan é il diminutivo di "Zane ", che in genovese significa Giovanni, si può ritenere, unendo tradizione e storia, che il costruttore del ponte possa essere stato Giovanni Malaspina marchese di Gavi, e probabilmente feudatario della zona nel XIII secolo. La tipologia costruttiva, con un unico arco a tutto sesto, si accorda con una datazione al periodo medievale. Secondo la leggenda invece un castellano il cui nome doveva essere Zan o Zane incontrò il diavolo, che si offrì di costruire un ponte sul rio Busti per ovviare alle difficoltà di attraversamento: in cambio avrebbe chiesto al castellano Zan la prima anima che sarebbe passata di lì. Il mattino dopo, tornato sul posto assieme al suo cane per verificare che il lavoro fosse stato ultimato, Zan fece passare il suo cane per primo sul ponte. Il diavolo non avendo digerito l'affronto sarebbe rimasto così nascosto nei pressi del ponte per molto tempo, finché un giorno il castellano Zan tornò e seppellì nei pressi del ponte un forziere con un tesoro: il diavolo fece in modo che chiunque avesse tentato di riportare alla luce il forziere venisse travolto da una frana di pietre. E così fu per molto tempo finché alcuni secoli dopo, proprio durante la costruzione della chiesa parrocchiale di Vobbia, una processione di fedeli vobbiesi si recò nel luogo in cui era seppellito il tesoro per recuperarlo. Il diavolo si preparò a dar vita a una nuova frana, ma il parroco cosparse il terreno nel quale si trovava seppellito il forziere con acqua santa e si fece il segno della croce. A questo punto, secondo la leggenda, si sentì un fortissimo boato e il diavolo fuggì via, liberando il luogo da quella che era una vera e propria maledizione. Purtroppo il ponte in cemento armato costruito negli anni '30 nasconde alla vista di chi percorre la strada la costruzione medievale, che rimane alcuni metri più in basso rispetto alla sede stradale. Un cartello indica la sua presenza e il breve sentiero che conduce al ponte.
Non poche sono le persone che, attratte dalle leggende, si accampavano ai confini della valle per sfatare la tradizione secondo la quale, a causa delle barbarie delle truppe Napoleoniche, molte persone furono portate nella valle giusto per essere torturate, taglieggiate, uccise, bruciate vive, sotto gli occhi lungimiranti del loro condottiero francese. Le anime vagano come prigioniere ancora nella valle, e la prova sta nelle urla che durante la notte alcuni sentivano provenire dalla valle. Molti pensavano che fosse il vento che soffiava tra le rocce dei bastioni del castello a fare questo scherzo, ma allora come si potrebbe definire la sensazione di angoscia opprimente che, appena entrati nel bosco, colpisce chiunque si diriga verso il Castello? Sono le anime che tentano di fermare i malcapitati visitatori, inconsce del fatto che ormai Napoleone è morto da un pezzo e non c’è più nessun pericolo di morte, oppure è solo frutto di immaginazione collettiva?
Provate a visitarlo, verrò anch’io con voi. Ci vediamo all’inizio del Ponte di Zen, ma ovviamente, passerò dopo di voi.